Le due vite di Alice


Alice ha due storie. La prima è un susseguirsi di difficoltà nelle relazioni, di mancanza di punti di riferimento e di sentirsi inferiore. La seconda è un crescendo di sacrificio, consapevolezza, coraggio di chi, a piccoli passi, raggiunge la propria serenità e il sorriso.

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Fisico minuto, occhi grandi e movenze ancora da bambina. Ha poco più di vent’anni Alice e ne dimostra meno. Ma ha già una vita alle spalle. E un’altra le si sta aprendo davanti. Tra le due vite c’è stata una battaglia. Di quelle che non tutti riescono a vincere. Perché la droga è un nemico subdolo che si nutre delle debolezze umane. E su quelle, infilza spietata la sua bandiera. Le persone fragili e disarmate sono le sue prede preferite. Alice lo era. Non ha paura di ammetterlo. E oggi racconta la sua infanzia con la consapevolezza e il distacco di chi certe cose le ha elaborate, comprese. Digerite, forse.

“Nella mia famiglia non c’era comunicazione. Attorno a me vedevo solo conflitti e confusione. Mio padre, preso dai suoi problemi, era una persona nervosa e istintiva. Mia madre, malata psichiatrica, era una figura totalmente assente. Decisivo, in senso negativo, è stato il rapporto con mia sorella maggiore, tossicodipendente, che io da piccola, purtroppo, ho preso come esempio”. La vita di Alice era un quadro a tinte fosche, popolato da figure sfuggenti. Niente di empatico, di accogliente, di stabile. E se la famiglia non andava, le amicizie non erano da meno. “Erano sbagliate – ammette Alice – ma è difficile capirlo, quando ci sei dentro. Frequentavo persone simili a me, senza punti di riferimento. In quel mondo mi sentivo accettata e paradossalmente al sicuro. Soprattutto, non provavo quel senso di inferiorità che sentivo con le persone che consideravo normali”. È un circolo vizioso. In queste dinamiche la droga trova terreno fertile. E si insinua, come acqua in una crepa. Un po’ alla volta, fino a spaccare tutto. Fino a mettere le persone davanti a un bivio. Un aut aut. Da una parte la fine, dall’altra un nuovo inizio. Alice ha di ripartire da Casa Sacchetti, la comunità residenziale della Labirinto che ospita donne con dipendenza patologica da sostanze stupefacenti e alcol.

Cosa è scattato in Alice? Cosa le ha fatto capire che bisognava invertire la rotta? “È difficile dirlo – racconta lei stessa – ma a un certo punto capisci che è ora di volerti bene. Provi a dire basta. Ma non è semplice, perché devi essere pronta. Prima di tutto dal punto di vista emotivo. Prima di Casa Sacchetti ho frequentato per un anno un centro di recupero a Bologna, ma non era il momento. Per lasciare la vita che hai vissuto fino a quel momento devi volerlo davvero”. A Pesaro, Alice ha ritrovato sé stessa. “Casa Sacchetti – spiega – è una comunità che ti dà la possibilità di fare un profondo lavoro terapeutico, sperimentandolo poi tutti i giorni nella vita reale. Molte volte, ciò che manca è la possibilità di confrontare il tuo nuovo essere nella società. Io ce l’ho fatta. Ma tutto questo funziona solo se vuoi veramente cambiare”. E se cambi tu, cambia anche il contesto. Così la famiglia, una delle cause del tracollo di Alice, è diventata decisiva per sua rinascita. “Mio padre, la sua nuova compagna. Più cambiavo io, più cambiavano loro. La loro vicinanza, il loro supporto, sono stati decisivi”. Così, passo dopo passo, sono arrivate le dimissioni e l’uscita da Casa Sacchetti. Per capire come sta Alice oggi basta guardare i suoi occhi, il suo sorriso.

La sua serenità. E anche la sua paura. “La paura mi aiuta. Mi permette di stare in allerta e con i piedi per terra. Tiene a bada i rischi del troppo entusiasmo. In più, rispetto al passato, ho un’identità. In meno, tutta la negatività che mi ha portato a fare tanti errori. Sto costruendo con calma tutto ciò che da piccola pensavo impossibile, per una come me”. Piccoli passi e testa sulle spalle. Una vita già vissuta e un’altra, tutta da vivere.

Raccontata da Alice, Barbara, Emanuela e Marco